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Derivati, la riforma che coinvolge
Goldman, JpMorgan, Citi e BofA

di Vittorio Carlini

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13 marzo 2010
Derivati, la riforma che coinvolge Goldman, JpMorgan, Citi e BofA

Le big four di Wall Street, negli Usa, gestiscono oltre il 90% dei contratti scambiati Over the counter. Cioè su quelle piattaforme nel mirino di politici e regulator. Ma la riforma è un passo avanti? Il parere degli esperti

Dopo l'attacco alla Grecia via cds, governi e controllori hanno deciso di mettere mano al mondo dei derivati. Dal presidente del Financial stability forum Mario Draghi fino al cancelliere tedesco Angela Merkel il coro è unanime: ci vuole una stretta. Una concordia d'intenti confermata dall'incontro di ieri a Londra tra il premier inglese Gordon Brown e il presidente francese Nicolas Sarkozy.

Di fronte a tanta unanimità il mercato ha subito reagito: «I derivati non sono il male . Solamente, sono stati usati male». Ancora: «Pensare a regolare piattaformi globali è pura utopia». Di più: «Quando sono serviti, anche a stati ed enti locali, nessuno ha detto alcunché. Adesso li si vuole eliminare, troppo facile». E l'elenco delle critiche potrebbe continuare. Tanto che la domanda è inevitabile: chi ha ragione? Il tardivo risveglio politico è demagogia o chi critica le riforme è spinto da interessi di parte? Un primo passo per capirci qualcosa è sgombare il campo dalle molte mistificazioni.

L'obiettivo? Solo i derivati over the counter
La stretta riguarderebbe non i derivati tout court, bensì quelli scambiati sui mercati non regolamentati, i cosiddetti Over the counter (Otc). Verso i primi anni '80, negli Usa, i contratti standard erano praticamente la maggioranza. Talvolta, però, accadeva che questi titoli, scambiati nelle Borse tradizionali, non fossero adatti a difendere le società da particolari rischi: per esempio, dal rialzo dei tassi d'interesse. Ecco, allora, la necessità di creare un prodotto ad hoc.

Basta pensare ad una società che deve fare degli investimenti e si finanzia con obbligazioni a tasso variabile. Il tesoriere dell'azienda potrà decidere di pagare, rispetto alla cedola variabile, solo fino a un tetto massimo (il cosiddetto cap). Chiederà a una banca (o anche di più, per spuntare un costo minore) di "costruirgli" un derivato in cui, se la cedola andrà oltre il cap, la somma in più sarà sborsata dall'istituto di credito che emette il derivato, in cambio del pagamento di un premio. Insomma: è un un vestito di sartoria cucito su misura per l'azienda. E fin qui nessun problema. Ma allora, perché si è arrivati alle difficoltà odierne?
  CONTINUA ...»


La mancanza di trasparenza permette la speculazione
La risposta è: un mix di cause. In primis, l'innovazione tecnologica, sia con la digitalizzazione dei prodotti sia attraverso la creazione di veloci network, ha abbassato i costi di negoziazione e facilitato le contrattazioni; poi, l'enorme liquidità che è stata immessa nei mercati negli ultimi anni (non solo durante l'attuale crisi) «ha permesso di assorbire - spiega Andrea Resti, direttore di FinMonitor alla Bocconi - l'offerta di protezione del rischio» creata dagli intermediari, «mantenendone allo stesso tempo basso il suo prezzo».

In questo modo, si è creato un mercato molto liquido: i contratti costruiti su misura per l'azienda si sono, nei fatti, anch'essi standardizzati e hanno iniziato ad essere scambiati nelle piattaforme Otc come singoli titoli, slegati dal sottostante per cui erano nati. In un simile habitat i grandi broker hanno capito che potevano guadagnare parecchi soldi: o con le commissioni, o con gli arbritaggi. Non va infatti dimenticato che, grazie alla deregulation del settore (fondamentale è il "Commodity Futures Modernization Act" del 2000), la mancanza di trasparenza sulla formazione dei prezzi ha dato vita alla creazione di buoni spread denaro/lettera. Una situazione in cui, per i trader, portare a casa profitti è molto facile.

Il caso di Aig...
«Così - ricorda Gary Gensler, presidente della Commodity Futures Trading Commission - il valore nominale dei derivati Otc negli Usa ha raggiunto i 300 trilioni di dollari, cioè circa dieci volte quello dei derivati regolamentati». Si dirà ancora: ma che male c'è? Niente, se non fosse che, sottolinea Gensler: «Gli Otc derivates sono stati, per esempio, al centro del fallimento di Aig». Il colosso assicurativo ha sfruttato a piene mani i cds, vendendoli a clienti intenzionati a coprirsi dal rischio di fallimento di certi titoli. Erano ben 60 i miliardi di dollari di questi derivati nei sui bilanci, con spesso a garanzia i tristemente famosi subprime. Tutti sanno com è andata a finire.

...e quello della Grecia
E poi come dimenticare che, qualche anno fa, i derivati (in particolare uno swap) hanno permesso «alla Grecia - dice Gensler- di falsificare i conti pubblici; per, poi, mettere sotto pressione la sua stessa stabilità finanziaria, con i cds, quando» il trucco è saltato fuori. Insomma, «nati per proteggere dal rischio adesso sono usati per sfruttarlo» al fine di accrescere il proprio utile. E non importa se la conseguenza è una crisi di sistema che può mettere in ginocchio l'economia di uno stato. A questo punto, conclude Gensler, non si può fare a meno«di regolamentare il settore».

Una proposta di legge presentata al Congresso Usa prevede l'obbligo, per le grandi banche che vendono i derivati, di spostare gli scambi su piattaforme pubbliche e trasparenti. «Un'idea insensata - ribatte l'International Swap and Derivatives Association, la "confidustria" di settore -. Provocherebbe un abbandono dei mercati da parte dei grandi intermediari, con il conseguente calo della liquidità e il balzo dei costi». «Mi sembra un timore eccessivo - ribatte Andrea Beltratti, professore di economia politica alla Bocconi -. Una riduzione del profitto potrà creare qualche problema ma, di certo, non farà sparire gli operatori».

13 marzo 2010
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